Nell’ippocampo esistono neuroni specializzati che mappano i nostri movimenti e i luoghi che visitiamo. Stando a un nuovo studio, di notte possono riattivarsi in modo casuale creando una sorta di astrazione delle esperienze della giornata
IL SONNO è la forma di riposo per antonomasia. Ma se si osserva cosa accade all’interno del nostro cervello, la situazione è molto diversa: anche quando dormiamo infatti moltissimi network neurali sono al lavoro, attivandosi e disattivandosi, rinforzando alcune connessioni ed eliminandone altre per trasformare degli eventi della giornata in memorie durature.
Cosa accade nell’ippocampo
Una zona particolarmente attiva in questi processi è l’ippocampo, una piccola struttura situata alla base del cervello, in cui durante il sonno ripercorriamo gli spostamenti del giorno appena trascorso. O almeno, così si pensava fino ad oggi: un nuovo studio pubblicato su Neuron rivela infatti che in assenza di esperienze spaziali particolarmente significative, durante il sonno i neuroni dell’ippocampo si attivano in modo casuale, creando una sorta di “rappresentazione spaziale astratta” realizzata a partire dai ricordi di luoghi che abbiamo effettivamente visitato, e che il cervello – ipotizzano gli autori della ricerca – utilizza probabilmente per portare a termine altre importanti funzioni cognitive.
L’esplorazione dello spazio
Per arrivare a questa conclusione, Federico Stella e Jozsef Csicsvari, dell’Institute of Science and Technology Austria, hanno svolto diversi esperimenti utilizzando dei ratti. Normalmente, le ricerche in questo campo procedono così: l’animale viene messo in un labirinto e poi spinto ad esplorarne alcune sezioni dove viene nascosto strategicamente del cibo; si osservano quindi quali neuroni si attivano nell’ippocampo del ratto durante l’esplorazione, e poi si verifica cosa succede agli stessi neuroni durante il sonno.
Le cellule di posizione
Non parliamo ovviamente di neuroni qualunque, ma delle cosiddette ”cellule di posizione”, la cui scoperta è fruttata al neuroscienziato John O’Keefe il premio Nobel per la medicina nel 2014. Si tratta, evidentemente, di cellule nervose molto speciali: questi neuroni infatti si attivano quando un animale (o un essere umano) si trova in uno specifica posizione all’interno del suo ambiente, e si ritiene che agendo collettivamente formino un network cerebrale che permette al cervello di mappare l’ambiente e formare memorie spaziali. Fondamentalmente, ci dicono dove siamo, e dove si trova un posto in cui vogliamo andare. Negli studi effettuati fino ad oggi sui ratti, si era scoperto che di notte questi neuroni ripetono gli stessi pattern di attivazione osservati durante il giorno, ma molto più velocemente: un secondo di esperienza durante la veglia viene compresso in soli 10 millisecondi durante il sonno. Un modo – ritengono gli specialisti – per consolidare i ricordi degli spostamenti effettuati e dei luoghi visitati durante il giorno.
Nel loro studio, Stella e Csicsvari hanno osservato il comportamento delle cellule di posizione dei ratti, ma invece di mettere i loro animali in un labirinto e farli muovere lungo percorsi predeterminati, li hanno lasciati liberi in uno spazio aperto, registrando l’attivazione di oltre 400 cellule di posizione all’interno del loro ippocampo. Arrivata la notte hanno quindi osservato il comportamento delle stesse cellule mentre gli animali dormivano, ed è arrivata la scoperta: i neuroni “sparavano” (cioè si attivavano trasmettendo un segnale ad altri neuroni sotto forma di corrente elettrica), ma non ripercorrendo gli spostamenti effettuati dall’animale durante il giorno.
Come nascono le traiettorie casuali
“I neuroni sparano in corrispondenza di luoghi che i ratti hanno visitato – spiega Csicsvari – ma in questo caso, la sequenza di luoghi espressa dall’attivazione dei neuroni seguiva traiettorie completamente casuali, simili al cosiddetto moto browniano, cioè quei movimenti imprevedibili che si osservano quando delle particelle si muovono, collidono tra loro e cambiano direzione”.
I neuroni dei ratti, insomma, stavano ricostruendo degli spostamenti, ma non quelli sperimentati realmente durante il giorno. Secondo i due autori dello studio, il pattern di attivazione osservato suggerisce piuttosto che l’ippocampo stesse generando autonomamente, e in modo casuale, un percorso plausibile ma mai incontrato. La loro ipotesi è che negli esperimenti classici, in cui i ratti vengono fatti camminare in un labirinto, l’esperienza effettuata, estremamente specifica, limiti le possibilità di attivazione dei neuroni. Mentre in assenza di esperienze così forti, l’attivazione notturna dell’ippocampo procederebbe più o meno incontrollata, producendo così una sorta di astrazione a partire dalle esperienze pregresse. “Questa astrazione potrebbe essere importante per svolgere diverse attività cognitive – ragiona Stella – come ad esempio pianificare nuovi potenziali comportamenti da svolgere in un ambiente già noto, oppure per generalizzare quanto appreso attraverso differenti esperienze”.
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