Il prossimo passo del mio cammino sarà quello di approfondire la meditazione vipassana. Erano anni che pensavo di avvicinarmi a questa pratica orientale, ma ho sempre rimandato. Voglio cogliere l’occasione offerta dal maggior tempo a disposizione conseguente la pandemia Covid19 per rimediare, ancor più motivato dalla testimonianza di Harari nel suo saggio “21 lezioni per il XXI secolo”. In attesa di leggere il libro “La meditazione Vipassana come insegnata da S. N. Goenka”, suggeritomi da più parti, raccolgo qui qualche articolo letto online per un primo approccio alla materia.


Meditazione buddhista

«La meditazione deve essere messa in atto di giorno e di notte, mentre lavoriamo e nelle nostre relazioni umane. La meditazione di cui abbiamo bisogno deve portare alla vera estinzione della sofferenza.» (Lama Zopa Rinpoche)

Monaco buddhista thailandese in meditazione.

La meditazione buddhista è un tipo di meditazione usata nella pratica del buddhismo che include ogni metodo che abbia come ultimo fine l’illuminazione. La parola più simile per esprimere questo concetto, nella tradizione buddhista, è bhavana o sviluppo mentale. Tradizionalmente si divide in śamatha e vipassana.

Metodi

I metodi principali della meditazione buddhista sono divisi in śamatha (meditazione della tranquillità) e vipassana (meditazione dell’intuito o di profonda visione). Il termine meditazione di visione profonda viene talvolta utilizzato per l’intera meditazione buddhista.

Le meditazioni samatha includono l’anapanasati (coscienza del respiro) e i quattro brahma-viharas dei quali mettā bhāvanā è il più praticato; attraverso essa il praticante ottiene i quattro dhyāna. Le meditazioni vipassana comprendono la contemplazione dell’impermanenza, la pratica dei sei elementi (la contemplazione del corpo e del respiro, della mente e delle sensazioni) e la contemplazione della condizionalità.

Le meditazioni samatha solitamente precedono e preparano per quelle vipassana, a volte possono essere alternate. Normalmente si ritiene che la meditazione vipassana richieda samatha come presupposto, ma non viceversa. Contemplando l’oggetto della meditazione, il praticante ottiene il sati (consapevolezza) e il samādhi (unione del meditante con l’oggetto), base per l’illuminazione.

Ognuno dei cinque metodi base, in grassetto, è un “antidoto” per uno dei cinque “veleni” mentali.
Tipo di meditazioneMetodoNeutralizzazione diSviluppo di
Śamatha
(meditazioni della tranquillità)
anapanasatidistrazioneconcentrazione
mettā bhavanaodio ed attaccamento sentimentalegentilezza amorevole
karuna bhavanacrudeltà, peccato sentimentale ed ansiacompassione
mudita bhavanarisentimento e invidiagioia compartecipe
upekkha bhavanaindifferenza e neutralità apaticaequanimità
Vipassana
(meditazioni dell’intuito)
contemplazione dell’impermanenzabramosiapace interiore, libertà
pratica dei sei elementinarcisismochiarezza sulla propria natura
contemplazione della condizionalitàignoranzasaggezza, compassione

Esistono altri tipi di meditazione, come su temi specifici, o metodi; ad esempio nello Zen/Chán si utilizza la meditazione zhǐguān (giapponese shikan o shikantaza) evolutasi nello zazen (meditazione seduti, concentrati sul respiro e la vacuità); essa è ripresa direttamente dalla Samatha (Zen è la traduzione di dhyāna, gli stati meditativi) e dalla Vipassana (zhi sta per samatha, guan per vipassana). In generale tutte le meditazioni buddhiste del Mahayana e del Vajrayana sono evoluzioni di samatha/vipassana praticato oggi nel Theravada, con l’utilizzo aggiuntivo dei mantra o di particolari oggetti di meditazione (es. Yidam).

FONTE


MEDITAZIONE VIPASSANA: COS’È E COME SI PRATICA


La meditazione vipassana è una tecnica di meditazione buddista tradizionale che ebbe origine nel sesto secolo a.C. Il suo scopo è quello di scoprire la nostra vera natura, così come fece il Buddha, per conoscerci nuovamente e comprendere che la nostra felicità non dipende da null’altro se non noi stessi. In Occidente è diventata molto popolare con il nome di “minfdulness”.

Origini e significato della meditazione vipassana

Vipassanā è un termine pali (una lingua antica strettamente imparentata con il sanscrito) che significa “vedere chiaramente” oppure “guardare dentro”.
Si tratta di una delle più antiche tecniche meditative al mondo, derivante dalla tradizione buddista theravada. Veniva praticata 25 secoli fa dal Buddha, il quale affermò che tramite essa aveva riscoperto una pratica ancora più antica. Dopo la sua illuminazione nel 528 a.C., il Buddha trascorse i rimanenti 45 anni della sua vita insegnando la via per uscire dalla sofferenza. Vipassana è sostanzialmente l’essenza di questi precetti: l’insegnamento del Buddha è noto con il termine generale Dharma.
Per cinque secoli la meditazione Vipassana ha aiutato milioni di persone in India, la patria del Buddha. Quest’era vide l’India prosperare sotto il regno dell’imperatore Asoka (273-236 a.C.) che unificò il Paese e diede inizio ad un’epoca di pace e floridità. Asoka mandò anche ambasciatori del Dharma a tutti i regni vicini (incluso quello che è diventato il Myanmar nei tempi moderni), diffondendo così sia la pratica che le parole del Buddha.
Dopo circa 500 anni, tuttavia, la pratica di Vipassana era quasi scomparsa dall’India. Fortunatamente fu mantenuta in vita da una continua catena di insegnanti di meditazione nel vicino Myanmar (Birmania) fino ai giorni nostri.
Ai nostri giorni, la meditazione Vipassana è stata reintrodotta in India e in tutto il mondo principalmente grazie all’operato di S. N. Goenka, un industriale birmano di origini indiane che apprese la tecnica di Vipassana da Sayagyi U Ba Khin, un famoso insegnante laico che fu il primo ad insegnare gli occidentali in inglese. U Ba Khin lo nominò suo erede nell’insegnamento della tecnica di Vipassana nel 1969.

I precetti della meditazione vipassana

Il principio cardine di questa meditazione è “vedere le cose come sono in realtà”. La Vipassana si concentra principalmente sul corpo e su molti aspetti di esso, dalla postura al respiro fino ad arrivare alle sensazioni, e anche sulla mente grazie alle azioni contemplative.
La meditazione vipassana è un metodo razionale per purificare la mente da tutto ciò che è causa di angoscia e dolore. Questa semplice tecnica non invoca l’aiuto di un dio, spirito o qualsiasi altro potere esterno, ma fa affidamento esclusaivamente sui nostri sforzi.
Vipassana è un’intuizione che dissolve il pensiero convenzionale per arrivare a percepire la mente e la materia così come sono: impermanenti, insoddisfacenti e impersonali. La costante pratica gradualmente purifica la mente, eliminando tutte le forme di attaccamento materiale che ci hanno accompagnato nella nostra vita. Man mano che l’attaccamento viene eliminato, il desiderio e l’illusione vengono gradualmente diluiti. Il Buddha identificò questi due fattori, il desiderio e l’ignoranza, come le più grandi radici della sofferenza. Quando saranno finalmente rimossi, la mente toccherà qualcosa di permanente oltre il mondo che cambia. Quel “qualcosa” è la felicità immortale e sopramondana, chiamata Nibbana in Pali.
La meditazione vipassana riguarda il momento presente e prevedere il rimanere nel “qui e ora” il più a lungo possibile. Consiste nell’osservare il corpo (rupa) e la mente (nama) con nuda attenzione.

Vedere attraverso le nostre illusioni

La parola “vipassana” è composta da due parti. “Passana” significa vedere, cioè percepire. Il prefisso “vi” ha diversi significati, uno dei quali è attraverso. L’intuizione di Vipassana taglia letteralmente la tenda dell’illusione nella mente, donando un tipo di visione che percepisce le singole componenti separatamente. L’idea della separazione è particolarmente rilevante in questa meditazione, perché l’intuizione funziona come un bisturi mentale, differenziando la verità convenzionale dalla realtà ultima.
Con “vedere attraverso” s’intende un processo che ci coinvolge per tutto l’arco della giornata e non limitato solo al momento in cui viene praticata la meditazione vipassana. In altre parole occorre avere la consapevolezza di quello che si fa in ogni momento, cercando di apprendere tutte le sensazioni che scaturiscono dalla nostra attività mentale.
Quest’atteggiamento è fondamentale per capire quando siamo in preda a delle emozioni negative, che possono essere paura, rabbia o momenti di cieca impulsività. Quando ci lasciamo andare a queste sensazioni, il nostro corpo modifica il respiro, e questo è un chiaro indice che qualcosa non va.
Interpretare questa condizione quando il corpo ce ne dà avviso è il pilastro su cui si basa la Vipassana: possiamo prendere il controllo delle emozioni che hanno il sopravvento sulla nostra mente, ridurle a mere sequenze di fatti senza subirne il travolgimento, e di fatto far scomparire ogni negatività e impurità mentale che ci affligge.

Come praticare la meditazione vipassana

meditazione
Il primo passo fondamentale per intraprendere questa pratica è sviluppare la concentrazione, attraverso la pratica samatha. Questo obiettivo è tipicamente raggiunto attraverso la consapevolezza della respirazione.
Concentra tutta la tua attenzione, di momento in momento, sul ritmo del tuo respiro. Nota le sottili sensazioni del movimento dell’addome che sale e scende. In alternativa, focalizzati sulla sensazione dell’aria che passa attraverso le narici e tocca le tue labbra – cerca di avvertirla più intensamente che puoi.
Mentre ti concentri sul respiro, noterai che altre percezioni e sensazioni continuano ad apparire: suoni, movimenti del corpo, emozioni, ecc. Basta notare questi fenomeni mentre emergono nel campo della consapevolezza, per poi tornare alla sensazione di respirazione. L’attenzione è mantenuta nell’oggetto della concentrazione (la respirazione), mentre questi altri pensieri o sensazioni sono semplicemente come “rumore di sottofondo”.
L’oggetto che è al centro della pratica (per esempio il movimento dell’addome) è chiamato “l’oggetto primario”. E un “oggetto secondario” è qualsiasi altra cosa che sorga nel tuo campo di percezione – attraverso i cinque sensi, oppure attraverso la mente (pensieri, ricordi, sentimenti). Se un oggetto secondario aggancia la tua attenzione e la allontana, o se fa apparire il desiderio o l’avversione, devi concentrarti sull’oggetto secondario per un momento o due, etichettandolo con una nota mentale, come “pensiero”“ricordo”, “preoccupazione”, “desiderio”. Questa pratica è spesso chiamata “notazione”.
Una nota mentale identifica un oggetto in generale ma non nei dettagli. Quando un suono ti disturba, ad esempio, etichettalo come “udito” invece di “auto”“voci” o “cane che abbaia”. Se si verifica una sensazione spiacevole, annota “dolore” o “sensazione” invece di “mal di schiena”. Quindi riporta la tua attenzione all’oggetto della meditazione primaria.
In questa fase acquisirai la “concentrazione di accesso”, che ti permetterà di rivolgere totalmente l’attenzione all’oggetto primario della pratica. Osservalo senza attaccamento, lasciando sorgere pensieri e sensazioni che gradualmente scompaiono spontaneamente. L’etichettatura mentale (spiegata sopra) è spesso usata come un modo per impedirti di essere trascinato via dai pensieri e per vederli oggettivamente.
Svilupperai così una visione chiara dei fenomeni che osservi e che sono pervasi dai tre “segni dell’esistenza”impermanenza (annica), insoddisfazione (dukkha) e impersonalità (annata). Di conseguenza, l’equanimità, la pace e la libertà interiore si svilupperanno spontaneamente in relazione a questi input.
FONTE


Meditazione vipassana: cos’è e come praticarla

La meditazione è una disciplina dalle origini antichissime che permette di migliorare la consapevolezza di sé e la capacità di concentrarsi sul momento presente. Proprio perché si tratta di una disciplina dalla lunghissima storia, non stupisce che nel corso del tempo si siano sviluppate molte tecniche differenti tra loro. Una di queste è la meditazione vipassana.
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Cos’è la meditazione vipassana

Il nome di questa disciplina deriva dalla lingua indiana Pali e significa “vedere chiaramente”, o “guardare dentro”. La vipassana è una delle tecniche più antiche al mondo: deriva dalla tradizione Buddhista theravada ed è stata praticata dal Buddha 2500 anni fa come rimedio universale per qualunque tipo di sofferenza.
Buddha descrive questo metodo nel Discorso sui fondamenti della consapevolezza (Satipatthana Sutta). L’esercizio meditativo con vipassana permette di liberarsi dall’abitudine a reagire (fonte di ogni infelicità) e, attuando una profonda auto-trasformazione, permette di affrontare le vicissitudini della vita in modo più equilibrato”.
Questa tecnica viene definita anche “meditazione di visione penetrativa”, o di “visione profonda”, proprio per via dell’attenzione rivolta al presente e alle sensazioni percepite dal proprio corpo. Durante la meditazione vipassana si passa da un livello di conoscenza di sé superficiale a uno sempre più approfondito e consapevole.

I principi della meditazione vipassana

La meditazione Vipassana è una forma di meditazione contemplativa la cui pratica si muove dalla concentrazione sulle sensazioni diffuse nel corpo, fino alla contemplazione della realtà attraverso la mente, che viene purificata da tutto ciò che è causa di angoscia e di dolore.
La pratica costante permette di migliorare le proprie capacità contemplative raggiungendo un distacco sempre più netto da ciò che è materiale. Dal momento che la meditazione vipassana è un esercizio di percezione della natura impermanente, insoddisfacente e impersonale della realtà, praticare questo tipo di meditazione consente di eliminare le forme di attaccamento materiale che caratterizzano il quotidiano.
In questo modo, è possibile eliminare la principale fonte di dolore. Secondo il Buddha, infatti, i sentimenti negativi nascono dal desiderio e dall’illusione, dai quali ci si allontana sempre più praticando la meditazione Vipassana. Il massimo livello di conoscenza al quale aspirare è Nibbana, termine della lingua Pali che identifica la felicità immortale e sovramondana, ovvero che non dipende da nessuno oggetto o realtà materiale. Il mondo si riduce così nel qui ed ora, nell’osservazione attraverso il corpo e la mente soltanto di ciò che è presente.

“Vedere attraverso”: la visione secondo la meditazione vipassana

La parola “vipassana”, come abbiamo visto all’inizio di questo articolo, indica una modalità particolare di guardare, che può essere interpretata come “guardare attraverso”. Ciò che vuole spingerci a vedere attraverso e a superare, è il velo delle illusioni, separando la realtà convenzionale dalla realtà ultima. È il principio di separazione che guida anche la percezione del momento presente e la concentrazione sulle singole sensazioni le quali, una alla volta, perdono valore temporale e vengono contemplate soltanto nel loro momento presente.
Questo atteggiamento permette di percepire in modo più netto anche i rapporti di causa ed effetto: concentrandosi sul respiro, ad esempio, è possibile notare quando esso cambia in relazione a un pensiero o uno stato emotivo mutato, individuando i pensieri che scatenano rabbia, dolore, tristezza o frustrazione.
Percependole e riportando l’attenzione sulle singole sensazioni è possibile riacquisire il controllo della propria mente, togliendo così potere a tutte quelle emozioni negative che possono divenire cause di ansia, depressione o altri stati emotivi alterati che vanno a inquinare la mente e la qualità della vita quotidiana.

Dalla concentrazione all’attenzione

La meditazione vipassana è un processo che porta dalla concentrazione all’attenzione: la concentrazione, infatti, è il primo passaggio che consente di trovare la giusta stabilità e calma mentale per accogliere l’attenzione, ovvero una forma di consapevolezza crescente che abbraccia i grandi e piccoli disagi del quotidiano e le emozioni, positive e negative, che emergono durante la pratica della meditazione.

Come funziona

La meditazione vipassana si basa sulla consapevolezza che vi è una forte correlazione tra mente e corpo, che può essere esplorata portando la propria attenzione sulle sensazioni fisiche, le quali hanno radici nella mente. Attraverso l’autoanalisi, la meditazione vipassana permette di conoscere ciò che provoca gioia, ciò che provoca dolore, in che modo queste sensazioni si manifestano attraverso le sensazioni fisiche e in che modo mente e corpo reagiscono agli eventi: il risultato è una maggiore consapevolezza di se stessi che aiuta ad affrontare con maggiore serenità la vita quotidiana.
Proprio per questa ragione, praticare la meditazione vipassana può essere utile per contrastare stati d’ansia, periodi di particolare stress o ricchi di preoccupazioni: questa forma di meditazione aiuta a riportare l’attenzione su di sé, sulla propria autoconsapevolezza, sui propri bisogni.

Come si pratica: tecnica della meditazione vipassana

Come per ogni forma di meditazione, anche la meditazione vipassana richiede pratica ed esercizio affinché i suoi benefici risultino progressivamente sempre più evidenti: se è vero che è possibile pratica la meditazione vipassana in modo autonomo, è vero anche che soltanto con l’esercizio e la corretta esecuzione ripetuta si riuscirà a migliorare la consapevolezza. Di volta in volta si riuscirà quindi a sviluppare la propria capacità di prestare attenzione anche ai più piccoli segnali del proprio corpo e della propria mente.

Prepararsi alla meditazione

Alcune persone preferiscono prepararsi alla meditazione con alcuni gesti rituali e creando un’atmosfera che aiuti a entrare in uno stato di rilassamento: per fare questo ricorrono alla musica, alla luce soffusa e calda, a incensi o candele profumate.
In realtà, per praticare la vipassana sarebbe meglio evitare questo tipo di approccio: questa forma di meditazione porta a concentrarsi su ogni sensazione del proprio corpo e sugli stimoli esterni, pertanto aggiungere ulteriori stimoli potrebbe rendere più difficoltoso concentrarsi in modo profondo e riuscire a raggiungere un alto livello di consapevolezza.
Ad ogni modo, per chi desidera iniziare a muovere i primi passi nel mondo della meditazione, è importante riuscire a sentirsi a proprio agio. Inoltre, riuscire ad abbandonare lo stress e a frenare la mente dal correre da un pensiero all’altro potrebbe risultare complicato: ben venga, allora, qualche prima seduta preceduta dai riti preparatori con i quali si riesce a rilassarsi più facilmente e più rapidamente.

Dove meditare

C’è chi preferisce iniziare a meditare in gruppo, per rompere il ghiaccio con questa pratica potendo confrontarsi con altre persone che magari hanno già una lunga esperienza, oppure per condividere le impressioni di un percorso nel quale anche le altre persone stanno muovendo i primi passi. In generale, è consigliabile praticare la meditazione in gruppi molto piccoli oppure in solitaria, in un ambiente che si considera tranquillo e nel quale è facile trovare la concentrazione, come a casa, magari nella stanza nella quale ci si concede più spesso relax e svago.
Dal momento che la meditazione vipassana, infatti, è fondata sulla percezione di sé, dei propri pensieri e dei propri stati emotivi, pertanto si tratta di un dialogo interiore in solitaria che può essere disturbato dalla presenza di altri stimoli esterni, compresa la presenza di altre persone.

Come iniziare a meditare

La pratica ha inizio con la consapevolezza della respirazione. Questa prima fase si chiama Samatha ed è fondamentale per la meditazione vipassana, tanto che alcuni la chiamano appunto meditazione Samatha Vipassana. Samatha significa “dimorare nella calma” ed è il processo di attenzione concentrata sul respiro che permette di radicarsi nel momento presente.
Da questo stato di calma si potrà poi spostare l’attenzione sull’accoglimento dei pensieri e delle sensazioni che emergeranno durante la pratica, per poi tornare a Samatha, lo stato di concentrazione rilassata sul proprio respiro.
Concentra quindi tutta la tua attenzione sul respiro, percependone ogni azione e ogni passaggio. Concentrati sui movimenti dell’addome mentre inspiri e mentre espiri, sulla sensazione del passaggio dell’aria fresca durante l’inspirazione e calda durante l’espirazione. Cerca di percepire ogni sensazione di ogni muscolo e parte del corpo coinvolta nella respirazione.
Durante questa pratica, inizierai a percepire anche altre sensazioni legate al tuo corpo, alla tua mente e all’ambiente esterno, come suoni, rumori, luci, pensieri ed emozioni. Non cercare di allontanarle a tutti i costi: lascia che questi fenomeni emergano e percepiscili in maniera non giudicante, riportando poi la tua attenzione sulla respirazione.
Durante la meditazione vipassana, dunque, non devi rincorrere l’assenza di pensiero cosciente: Samatha è il punto dal quale la mente si può allontanare per qualche secondo per poi fare ritorno, ed è la condizione di base necessaria per poter lasciare che la mente vada in esplorazione del reale, raggiungendo un livello di conoscenza e consapevolezza sempre più profondo.
Puoi ripetere questo esercizio concentrandoti, di volta in volta, su una qualsiasi altra parte del tuo corpo: una pratica di meditazione vipassana si fonda sempre sulla concentrazione su un determinato elemento, definito “oggetto primario”, e sulla percezione di tutto ciò che emerge nel campo della percezione, sia esso una sensazione fisica, un pensiero o un’emozione, definito “oggetto secondario”.
Quando un oggetto secondario cattura la tua attenzione, effettua una notazione: anziché scacciarlo, accoglilo per qualche secondo e assegnagli mentalmente un’etichetta, poi riporta la tua attenzione all’oggetto primario.
Quando pratichi la notazione, cerca di utilizzare etichette generiche: un cane che abbaia può essere semplicemente “suono”, la rabbia può essere una “sensazione”, il male al collo un “dolore”, un pensiero specifico che ti crea turbamento diventa una generale “preoccupazione”. Poi, riporta l’attenzione sul tuo oggetto primario e ripeti la notazione con ogni altro oggetto secondario che si manifesta e attira la tua attenzione.
Con la pratica, diverrà sempre più facile per te mantenere la concentrazione sull’oggetto primario, osservandolo con distacco emotivo e con atteggiamento non giudicante, ma senza che gli oggetti secondari riescano a distogliere la tua attenzione. Questo sarà anche un modo per riuscire a tenere sotto controllo, nel quotidiano, quei pensieri negativi che tendono a ripresentarsi con frequenza nella tua mente.

Alcuni esercizi pratici per iniziare a meditare

Se ci si avvicina alla meditazione per la prima volta, ci si può sentire un po’ confusi, a disagio o incerti: non siamo più abituati nella vita quotidiana a prenderci il tempo di rilassarci e prestare attenzione alle piccole cose, alle sensazioni e alle emozioni, senza che il pensiero venga proiettato verso il passato o verso il futuro. Dal momento che la meditazione prevede poco da “fare” e molto da comprendere, ci si può chiedere se si sta facendo tutto nel modo corretto. Per superare questi piccoli dubbi e prendere confidenza con la pratica della meditazione, si può iniziare a meditare con alcuni semplici esercizi.

L’esercizio della mano

Con questo esercizio puoi abituarti gradualmente a concentrare la tua attenzione sui piccoli gesti, i piccoli movimenti che di solito compi senza quasi accorgertene. L’esercizio della mano si fonda su 5 semplici movimenti:
Parti con le mani appoggiate sulle ginocchia e lentamente ruota la mano destra.

  • Alzala
  • Abbassala
  • Toccati il ginocchio
  • Ruota la mano.

A questo punto, puoi ripetere la sequenza. Ricorda di eseguire ogni movimento in modo lento e di fermarti un attimo tra un gesto e l’altro. Puoi tenere gli occhi aperti o chiusi, a seconda di ciò che ti rende la concentrazione più semplice.

L’esercizio del movimento

Questo esercizio è particolarmente utile per chi inizia a meditare, perché aiuta a mantenere la concentrazione anche quando è più facile perderla, ovvero quando si cambia posizione. Si può imparare a fare in modo di mantenere concentrazione e consapevolezza senza che i movimenti del corpo spezzino questo momento introspettivo.
Anche in questo caso l’attenzione va portata su ogni singolo movimento, a partire dal momento ancora prima di compierlo: per prima cosa, infatti, l’attenzione va portata sull’intenzione di muoversi. Crea una notazione dichiarando mentalmente “ho intenzione di muovermi”. Poi, muovi un arto alla volta e fermati completamente dopo ogni movimento. Continua a mantenere l’attenzione sul processo in corso, fino a quando non hai raggiunto la posizione completamente eretta. Concentrati sulla percezione della nuova posizione raggiunta.
Eseguire un movimento alla volta, lentamente, fermandoti completamente tra un movimento e l’altro ti aiuterà a mantenere la concentrazione e allenare la tua capacità di rimanere nel “qui e ora” anche se sottoposto a stimoli esterni o in movimento; ripetendo la pratica con regolarità, ti riscoprirai sempre più capace di rimanere concentrato nella meditazione.

L’esercizio della camminata

Quando ti senti di avere sufficiente padronanza dell’esercizio del movimento, puoi passare all’esercizio della camminata: è consigliabile eseguire questo esercizio soltanto quando hai già raggiunto una buona capacità di mantenere la concentrazione anche in fase dinamica.
Per questo esercizio puoi partire già in posizione eretta, assicurandoti di trovarti in un posto in cui hai spazio per compiere una decina di passi. Esegui una notazione sulla tua posizione. Successivamente, prendi consapevolezza della tua intenzione di muoverti. Concediti tutto il tempo necessario per entrare nella modalità di concentrazione che ti permette di percepire soltanto gli stimoli e le sensazioni del tuo corpo.
A questo punto, lentamente, muovi il piede destro e compi un piccolo passo. Fermati completamente, poi ripeti l’operazione con il piede sinistro. Prosegui poi un piede alla volta, compiendo una decina di passi. Quando arrivi all’ultimo, annota l’intenzione di fermarti. A questo punto, puoi fermarti e mantenere la concentrazione nuovamente sulla tua posizione.
Quando ti senti pronto, prendi nota della tua intenzione di girarti, poi alza le dita del piede destro e ruota sul tacco. Alza il piede sinistro e completa la rotazione. Fermati completamente, poi ripercorri il breve tratto mantenendo un ritmo lento e fermandoti dopo ogni azione. Prendi nota mentalmente della tua intenzione di muoverti e di fermarti, poi torna ad osservarti nella posizione eretta.
Tutti questi esercizi ti aiuteranno non solo a praticare sedute di meditazione vipassana sempre più intense e sempre più centrate, ma anche a mantenere la stessa concentrazione nella vita di tutti i giorni, riuscendo a mantenere la mente sempre più legata al momento presente.

I tre metodi per praticare la meditazione vipassana

Quando le basi della meditazione vipassana ti sono ormai chiare e hai iniziato a praticarla con regolarità, puoi approfondire le tecniche che caratterizzano questa pratica millenaria. Nelle parole di Osho, esistono tre diverse modalità nelle quali è possibile praticare la meditazione vipassana.
Il primo modo di praticare la Vipassana è attraverso la consapevolezza: delle azioni, del corpo, della mente e del cuore. Secondo Osho, nessun gesto dovrebbe mai essere compiuto nell’inconsapevolezza. Durante la meditazione, così come nello svolgimento delle attività quotidiane, dovremmo essere capaci di focalizzare l’attenzione su ogni nostro gesto, divenendone sempre consapevoli.
Se questo è un obiettivo difficile da raggiungere in una vita fatta di frenesia e automatismi, può essere perseguibile quantomeno durante la pratica meditativa, quando i movimenti sono pochi, lenti, lontani dai pensieri caotici.
In questo modo diventi un osservatore attento di te stesso, uno spettatore dei tuoi movimenti… Allo stesso modo, la pratica meditativa dovrebbe essere condotta cercando di divenire uno spettatore dei propri pensieri. Preoccupazioni, dolori, tristezze, ricordi dovrebbero essere osservati senza giudizio e con distacco. La consapevolezza è una forma di conoscenza priva di giudizio.
La seconda modalità è quella del respiro, che nelle parole di Osho assume un valore particolarmente importante: la pancia che si gonfia e sgonfia per accogliere il respiro è vicina all’ombelico, fonte della vita. Dunque, il respiro diviene energia vitale, da osservare mentre fa muovere il corpo.
La respirazione si tramuta poi nella terza modalità di meditazione vipassana, la quale si focalizza sulle aree attraverso le quali il respiro entra ed esce dal nostro corpo. Non più la profondità, dunque, ma freschezza e calore che si alternano nelle narici secondo il naturale ritmo della respirazione. Secondo le indicazioni di Osho, è possibile praticare la meditazione mettendo un atto una sola, due o tutte e tre queste forme di consapevolezza del proprio corpo, a seconda del proprio desiderio e delle proprie capacità meditative.
Unire tutte e tre queste pratiche consente di ottenere un’esperienza meditativa più intensa e di favorire il distacco dalle emozioni, per riuscire a entrare in una fase più contemplativa. Si tratta di un percorso che può essere intrapreso gradualmente, mano a mano che si prende confidenza con la pratica.
Per fare questo non esiste un processo giusto o sbagliato, non esistono tempi corretti o scorretti: la meditazione è innanzitutto una maggiore consapevolezza, intesa anche come conoscenza di sé, dei propri bisogni e dei propri tempi. Il processo deve avvenire in modo naturale, senza essere forzato: cioè che è facile, afferma Osho, è giusto. Quando la meditazione è ben radicata, la mente diventa silenziosa e l’ego scompare, lasciando il posto alla pace interiore.

Il ruolo della mente nella meditazione vipassana

Nella meditazione vipassana, quella che prevale è la mente contemplativa, mentre mettiamo da parte la mente operativa. È il momento di lasciare da parte il fare e concentrarsi sul non fare, sulla pura percezione. La mente operativa prende parte alla meditazione semplicemente nel momento in cui è necessario riportarla da un pensiero che si è palesato a Samatha, la semplice contemplazione del proprio respiro e del proprio corpo, e nei pensieri che guidano il movimento, senza che la concentrazione venga interrotta.

I tre segni dell’esistenza secondo il Buddismo

Il senso di pace che è possibile ottenere praticando la meditazione vipassana non è l’obiettivo, quanto piuttosto una (felice) conseguenza: obiettivo di quest’antica pratica, come abbiamo detto, è la visione profonda. Per comprendere a fondo cosa questo significhi, occorre rifarsi alla tradizione buddista.
Secondo il buddismo, esistono tre caratteristiche fondamentali dell’esistenza: dukkha, anicca e anattā.
La prima, Dukkha, corrisponde alla sofferenza e all’insoddisfazione. Questa condizione di dolore si manifesta non solo nei periodi difficili della vita o in relazione a un evento negativo, ma la si può sperimentare anche durante i momenti positivi: è quel timore che può pervadere quando si sta vivendo un momento particolarmente felice e ci si chiede per quanto tempo potrà durare, o quando accadrà di nuovo qualcosa di negativo.
Il secondo segno dell’esistenza, anicca, è l’impermanenza, o cambiamento continuo: una condizione che, appunto caratterizza l’intera esistenza in ogni momento. È un processo di costante mutamento che coinvolge il mondo esterno e anche l’individuo: è possibile sperimentarla sia osservando ciò che è esterno, sia osservando se stessi.
Il terzo segno è Anattā, ovvero l’assenza di un sé, di una propria natura in ogni cosa, in ogni idea, in ogni essere esistente. È la negazione di un nucleo eterno, incondizionato, non sottoposto al cambiamento. Un esempio con il quale spesso si presenta questo principio è quello dell’invecchiamento: non è possibile impedire a se stessi di invecchiare, poiché non esiste un “io” immutabile ed eterno, un nucleo da preservare: vi sono delle leggi naturali alle quali la mente deve sottostare e, allo stesso modo, la materia è condizionata dalla mente.
Questa ineluttabilità delle cose si manifesta nella vita pratica: quando “io” scelgo di mangiare, rispondo a un bisogno ineluttabile. Ciò che ci dà piacere è una scelta personale, ma è anche sempre riconducibile a un bisogno ineluttabile al quale possiamo rispondere con diverse sfumature e la ricerca del modo più piacevole per farlo. Anattā è la base ineluttabile e incontrollabile di tutte le decisioni che prendiamo e di tutto ciò che accade.
Prenderne coscienza e riuscire a interpretare il mondo attraverso questa visione ha come conseguenza una visione più distaccata e meno legata all’impulso emotivo degli avvenimenti quotidiani che spesso sono causa di eccessivo stress, rabbia o sensazioni negative.

Meditazione vipassana vs meditazione mindfulness: quali sono le differenze?

La meditazione vipassana viene spesso associata a un’altra forma di meditazione che in questi anni ha raggiunto una crescente popolarità, ovvero la meditazione mindfulness. In effetti, le due forme di meditazione hanno molti punti in comune: ora ti spieghiamo il perché.
La Mindfulness è una tecnica di meditazione che muove i propri passi dal buddhismo, ed è figlia diretta della meditazione Vipassana. Il suo obiettivo principale è condurre la mente verso una maggiore consapevolezza del sé e della realtà nel momento presente e in modo non giudicante.
Come puoi vedere vi è una forte affinità di base ma, mentre la meditazione vipassana esiste da 2500 anni ed è stata tramandata attraverso i secoli, la meditazione mindfulness è un marchio registrato da Jon Kabat-Zinn, Professore Emerito di Medicina e fondatore della Stress Reduction Clinic e del Center for Mindfulness in Medicine, Health Care and Society presso la University of Massachusetts Medical School.
Kabat – Zinn ha sviluppato la meditazione Mindfulness con lo scopo di creare una tecnica utile a ridurre l’ansia nelle persone soggette a questa patologia e, a differenza della meditazione Vipassana, è una pratica laica.
Ciò significa che la meditazione mindfulness, pur prendendo le mosse da alcuni principi e alcune tecniche fondanti della vipassana, non ne conserva molti dei suoi aspetti più complessi e della sua filosofia legata all’interpretazione del reale. La mindfulness promuove la concentrazione sul momento presente, senza che questa sia una ricerca della verità o di una diversa consapevolezza del mondo e dell’universo, ma soltanto una pratica che permette di essere più presenti e percepire il momento che si sta vivendo.

La meditazione vipassana nelle parole di Osho

Se avvicinarti alla meditazione vipassana ti fa pensare che si tratti di una pratica di per sé estremamente semplice… Sei sulla strada giusta. La semplicità della meditazione vipassana è stata sottolineata anche da Osho:
Cos’è la meditazione? Nessun esercizio fisico, nessun esercizio di respirazione. È solo un fenomeno semplice: osservare il tuo respiro che entra ed esce, senza perdere il suo percorso. Questo è tutto. Osservi semplicemente il tuo respiro che entra ed esce, seduto in silenzio. Ne osservi il percorso. Questo è tutto. Non devi cambiare la tua respirazione, non si tratta di un esercizio in cui la devi guidare. Devi solo lasciare che sia, così com’è, e introdurre in essa una nuova qualità: la consapevolezza”.
(Osho, The Guest, capitolo 15).
La meditazione, sottolinea Osho, è un processo semplice, soltanto che a noi oggi risulta difficile perché la nostra vita quotidiana è ormai lontanissima dalla pratica contemplativa e dalla vipassana. La mente si è fatta complicata e per essere riportata alla sua naturale semplicità richiede tempo.

I cinque precetti indicati da Buddha per praticare la meditazione vipassana

Alla base della meditazione vipassana vi sono delle regole, dei precetti che permettono di sviluppare appieno le potenzialità offerte dalla meditazione. L’obiettivo della meditazione, infatti, non è soltanto quello di raggiungere un alto livello di consapevolezza e di concentrazione soltanto durante la pratica meditativa, ma anche nella vita di tutti i giorni.
cinque precetti alla base della meditazione vipassana consentono di estendere le potenzialità della meditazione anche nella vita quotidiana, mantenendo un costante stato di consapevolezza e serenità. Dunque, vivere il più possibile secondo i cinque precetti è parte stessa della meditazione vipassana, compiuta al di fuori della pratica meditativa.
1. Non uccidere e non recare danno agli esseri viventi
L’illuminazione alla quale vuole condurre la meditazione vipassana è l’esatto opposto dei sentimenti violenti che guidano il desiderio di uccidere altri esseri viventi; questo comprende anche la volontà di arrecare danno, fare del male ad altre persone o creature. La meditazione deve guidare verso un percorso di equilibrio e di distacco, nonché di pace con se stessi e con tutto ciò che ci circonda.
2. Non prendere ciò che non è dato.
Questo precetto non indica soltanto di non rubare, ma anche di non prendere nulla di ciò che non ci viene offerto spontaneamente. Si tratta di una differenza apparentemente lieve, che però pone l’accento su quanto la meditazione vipassana sia un percorso che conduce lontano dall’avidità e dal desiderio di possesso.
3. Non usare la parola in modo scorretto.
Questo precetto fa riferimento a tutti i modi con i quali la parola può ferire: la menzogna, un’offesa, discorsi inutili, ovvero non utili, non volti ad apportare un beneficio. Alla parola, nelle tradizioni orientali, viene riconosciuto un grande potere, sia nel male, sia nel bene. La parola è ciò che può portare alla luce la verità oppure mascherarla, stimolare stati d’animo positivi oppure negativi, guidare i comportamenti verso atti positivi oppure verso atti negativi. La parola, usata in modo scorretto, reca danno e allontana dalla presa di coscienza, dalla visione chiara della realtà che è alla base della ricerca vipassana.
4. Astenersi dalle attività sessuali.
Il buddhismo non condanna gli atti sessuali tout court, ma ritiene che l’energia sessuale sia molto forte e tale da generare grande turbamento. Questo turbamento allontana dalla concentrazione e dalla serenità, dalla presenza nel qui ed ora al quale ci guida la meditazione vipassana. Quindi gli atti sessuali non sono proibiti di per sé, ma allontanano dall’uso delle energie nella concentrazione vipassana e costituiscono un turbamento che non facilita la conoscenza della pura verità.
5. Non consumare sostanze tossiche.
Anticamente, in questo precetto rientravano anche sostanze come caffeina e alcol, fino a sostanze più dannose come le droghe. Anche in questo caso occorre comprendere che non si tratta di un divieto assoluto, ma di un precetto che si spiega con lo scopo della vipassana, ovvero osservare la natura, il mondo e se stessi così come ogni cosa è. Queste sostanze, in varia misura eccitanti, allontanano da una visione completamente lucida e dalla calma osservazione non giudicante e priva di moti d’animo. Per questo, se una tazza di caffè non compromette le possibilità di effettuare una percorso di meditazione vipassana, è vero anche che il consumo abituale e ricorrente di sostanze stupefacenti conduce verso la direzione opposta.
I cinque precetti, e in particolare gli ultimi due, possono essere quindi considerati non troppo rigidamente come divieti, ma come monito a non eccedere in modo patologico.

I benefici della meditazione vipassana

Al di là della sua valenza spirituale, la meditazione vipassana viene spesso praticata anche per gli specifici benefici che è in grado di generare in chi la pratica con regolarità, che interessano sia la mente sia il corpo. Proprio come la mindfulness (o forse più), la meditazione vipassana riesce a influenzare la mente curando anche il corpo. Mentre nella mindfulness questi sono gli obiettivi ultimi della pratica della meditazione, nel caso della vipassana si tratta soltanto di conseguenze, seppur positive: lo scopo è soltanto eliminare le cause principali delle sofferenze.

Meno stress e ansia

Tra i principali benefici della meditazione vipassana vi è la migliore capacità di gestire le tensioni della vita quotidiana, abituando a superare le reazioni istintive più intense e squilibrate di fronte ad eventi spiacevoli. Un interessante studio condotto a Mascate, in Oman, ha mostrato come la meditazione vipassana praticata con regolarità sia stata in grado di ridurre lo stress e l’ansia in una popolazione multiculturale, dunque con un background eterogeneo. La vipassana si è rivelata in questo caso efficace su persone molto diverse tra loro per usanze, abitudini, estrazione sociale.
meditazione vipassanaSi tratta ovviamente di un cambiamento che avviene in modo graduale, con il tempo e la pratica regolare. Questo processo aiuta a contrastare i principi che sono alla base delle patologie ansiose, ovvero la tendenza a preoccuparsi eccessivamente, ad avere pensieri negativi riguardo ad eventi passati o che potrebbero manifestarsi in futuro.
Inoltre, la meditazione vipassana insegna a contemplare e accogliere le proprie emozioni, cosa che spesso chi soffre di disturbi ansiosi non riesce a fare, tendendo in maniera inconscia a soffocarle. È proprio da questo processo erroneo che nascono molte manifestazioni psicosomatiche, ovvero dolori e disturbi che non hanno alcuna causa organica.
Le somatizzazioni, infatti, sono manifestazioni fisiche dell’ansia che governa la mente: per questo, curando la mente anche i sintomi fisici spariscono. In questo senso, la meditazione vipassana può alleviare gli stati ansiosi e, di conseguenza, eliminare i dolori fisici che ne derivano.

Migliorare la salute psichica e la qualità della propria vita

La meditazione vipassana può fare perfino più che alleviare lo stress e l’ansia: diversi studi hanno dimostrato che si tratta di una pratica in grado di migliorare il benessere psichico e la qualità della vita, con ricadute positive su tutti gli aspetti della quotidianità.
Uno studio del 2014 ha dimostrato che la vipassana aiuta a cambiare attitudine in positivo, con altrettante ricadute benefiche riscontrabili nel quotidiano. Per questo, “è raccomandata come pratica tipica per promuovere la salute mentale” (D.B. Washani, 2012). La meditazione vipassana aiuta a migliorare le relazioni interpersonali, sviluppando maggiormente doti come la tolleranza e la compassione, arricchendo l’esistenza con un senso di pace e armonia.

Godersi il momento

Imparare a concentrare la propria attenzione sul “qui ed ora” è un esercizio che arricchisce l’intera quotidianità. Prova a pensare a quante volte sei in macchina e nemmeno ti accorgi di come hai percorso il tratto di strada da casa al lavoro ascoltando la tua musica preferita alla radio.
Oppure, prova a pensare a quante conversazioni ti capita di troncare frettolosamente o di ascoltare in modo distratto, anche in famiglia: questo accade perché nella frenesia della quotidianità siamo portati a proiettare sempre la mente verso il futuro, dimenticando di prestare attenzione al presente e di godercelo appieno.
Questo stato di costante distrazione, o attenzione superficiale, ti fa perdere molti momenti importanti, piacevoli e preziosi con la tua famiglia e le persone che ami, o semplicemente la possibilità di godere del piacere delle belle sensazioni come il sole sulla pelle, l’aroma del caffè che stai bevendo, la bontà di ciò che stai mangiando. Attraverso la meditazione vipassana puoi allenare la tua mente a prestare attenzione a tutto ciò che accade nella tua vita e a vivere appieno tutti quei piccoli momenti che troppo spesso scorrono via senza che siamo davvero mentalmente presenti e pronti ad accoglierli.

Migliorare la capacità di attenzione e di concentrazione

Praticare la meditazione vipassana con regolarità aiuta a sviluppare migliori capacità di concentrazione e di memorizzazione: questa abilità può avere positive ricadute in molti ambiti, dallo studio al lavoro. Meditare, infatti, aiuta a sviluppare la capacità di eliminare ogni distrazione per concentrare la propria attenzione su un elemento specifico (durante la meditazione vipassana, infatti, oggetto dell’ascolto profondo sono le sensazioni fisiche e le loro relazioni con i processi mentali).
Le migliori capacità di concentrazione possono derivare anche da una maggiore fiducia in se stessi, che a sua volta deriva da una maggiore conoscenza di sé. La meditazione, aiutando ad affrontare in modo positivo stress e situazioni complicate mantenendo la lucidità, aiuta anche a far sentire la persona più sicura e, di conseguenza, a riuscire a concentrarsi sfruttando appieno tutte le proprie abilità.

FONTE


Ieri sera ho finito di leggere questo testo fondamentale. Consigliatissimo. Ora cerco di metabolizzarlo… e poi lo rileggo.

La Meditazione Vipassana

Uno strumento per la vita quotidiana

Paul Fleischman , Vincenzo De Giovanni , Satya Narayan Goenka

Descrizione

«Tutte le meditazioni hanno in comune una funzione naturale della mente e del corpo che aspetta solo di essere coltivata, affinata e messa a frutto. Si può stabilire un’analogia con l’esercizio fìsico. Voi siete nati con i muscoli e potete semplicemente lasciarli così come sono oppure esercitarli e rendere forte il vostro corpo. Con la mente succede più o meno la stessa cosa. La meditazione è appunto una specifica educazione della mente e del corpo».
Paul Fleischman
Che senso ha partecipare a un corso di meditazione in cui si osserva il silenzio, isolati dal mondo, concentrati sul respiro e sulle sensazioni corporali? Questo libro espone gli effetti pratici e benefici che la meditazione Vipassana produce nella vita quotidiana dei meditatori. Ne sono autori uno psichiatra, uno psicologo del lavoro ed un maestro di meditazione.
Lo psichiatra Fleischman descrive le profonde implicazioni che legano una autentica pratica meditativa ad una sana costruzione psicofisica.
Lo psicologo del lavoro De Giovanni illustra come la meditazione Vipassana aiuti i lavoratori ad affrontare le turbe psichiche che scaturiscono da un modello economico produttivo sempre più competitivo, stressante, totalizzante, precario.
Il maestro Goenka illustra come Vipassana sostenga anche terapeuticamente i carcerati, gli emarginati e i malati di patologie gravi, riportando aneddoti emozionanti ed esperienze reali.

Dettagli Libro

EditoreDiana Edizioni
Anno Pubblicazione2018
FormatoLibro – Pagine: 244 – 13x21cm
EAN139788896221303
Lo trovi in:Meditazione

Autori

Paul Fleischman è psichiatra e insegnante di meditazione Vipassana. È stato rettore alla Yale University School of Medicine. Nel 1993 ha ricevuto il premio Oskar Pfister dall’American Psychiatric Association per il libro The Healing Spirit (Paragon House, New York, 1989) e specificatamente per “i suoi importanti contributi all’aspetto umanistico e spirituale dei problemi psichiatrici”.

Vincenzo De Giovanni, psicologo del lavoro, da anni meditatore di Vipassana. Ha scritto articoli sul valore della meditazione nel mondo del lavoro.

Satya Narayan Goenka (1923-2013), nato in una famiglia tradizionalmente induista, è stato un industriale tessile e capo della comunità indiana in Myanmar. Nel 1955 incontrò Sayagyi U Ba Khin che, al ruolo pubblico di dirigente statale, univa il ruolo privato d’insegnante di meditazione. Da lui apprese la tecnica Vipassana. Nel 1969 ebbe da U Ba Khin il permesso d’insegnarla. Ha sempre stimolato i suoi studenti a essere responsabili di se stessi e a non dipendere dal maestro, invitandoli a dedicarsi alla pratica e alla ricerca della verità dentro di sé.

FONTE


S. N. Goenka

Satya Narayan Goenka, comunemente noto come S.N. Goenka (Mandalay, 30 gennaio 1924 – Mumbai, 29 settembre 2013), è stato un insegnante birmano naturalizzato indiano. Influente maestro laico di meditazione Vipaśyanā, ha sostenuto la diffusione in tutto il mondo di centri di meditazione senza fini di lucro, dedicati a corsi intensivi rivolti a laici, a occidentali e a non buddisti, nella tradizione del maestro U Ba Khin. Peculiarità del suo insegnamento è l’enfasi sull’universalità e la pragmaticità del sentiero proposto dal Buddha.

Biografia

S.N. Goenka nasce in Birmania in una facoltosa famiglia indiana, induista tradizionalista. Fin da ragazzo si dedica alle attività imprenditoriali di famiglia. Si sposa e ha sei figli. Imprenditore di successo, nel 1955 mentre cerca senza esito una cura per le sue gravi emicranie, incontra l’insegnante laico di meditazione vipassana Sayagyi U Ba Khin. Ne diviene allievo, esercitandosi sotto la sua guida per quattordici anni. Nel 1969, riceve da U Ba Khin l’autorizzazione all’insegnamento di Vipassana. Lascia gli affari e si trasferisce in India, dove inizia a insegnare. Nel 1976, apre il primo centro stabile di meditazione a Igatpuri, nel Maharashtra.

Dal 1982 tiene una formazione per insegnanti (chiamati assistenti), per la conduzione di corsi in sua vece, con l’ausilio di registrazioni audio e video, delle sue istruzioni metodologiche e dei contributi teorici. Nel 1985 fonda l’Istituto di Ricerca Vipassana.

Tiene conferenze su Vipassana in tutto il mondo, come al World Economic Forum, Davos, nel 2000; all’ Harvard Business School Club, N.Y.C. U.S.A., 2000 e al MIT Massachusetts Institute of Technology, Boston, MA. U.S.A., 2000. Interviene presso il Millennium World Peace Summit, ONU – Assemblea Generale delle Nazioni Unite, N.Y. U.S.A., 2000.

Nel 2012 riceve dal Governo indiano il premio Padma Brushan, riconoscimento civile per alte opere sociali.

Muore il 29 settembre 2013, nella sua casa di Mumbai, lasciando la moglie Elaichi Devi Goenka, eminente insegnante di meditazione, i figli e molti nipoti.

Alla sua morte, Jack Kornfield scrive: “In ogni generazione ci sono alcuni maestri visionari e profondi che tengono alta la lampada del Dharma (l’insegnamento, ndr) per illuminare il mondo. Come il Dalai Lama e Thich Nhat Hanh, il Ven S.N. Goenka è stato uno dei grandi maestri del mondo del nostro tempo. È stato ispiratore e insegnante per Joseph Goldstein e Sharon Salzberg, Ram Dass, Daniel Goleman e molti altri leader spirituali occidentali. Jay Michaelson scrive sull’Huffington Post nell’articolo L’uomo che insegnò al mondo a meditare: “Fu un insegnante per la prima generazione di insegnanti di meditazione “profonda”, ad avere un impatto negli Stati Uniti.”

Insegnamento

“Non sono contrario alla conversione. (…) sono per la conversione, ma non da una religione organizzata a un’altra, ma dalla sofferenza alla felicità, dalla schiavitù alla liberazione.” (S.N. Goenka)[7]

“Liberazione” in questo contesto indica libertà dalle impurità della mente e il risultato del processo di coltivazione di una mente pura, è la libertà dalla sofferenza, nelle sue diverse manifestazioni.

La tecnica insegnata da Goenka viene fatta risalire al Buddha storico; non richiede la conversione in alcun sistema di credenze religiose ed è adatta a persone di tutte le fedi e a coloro senza fede.

Goenka propone la meditazione Vipassana come un metodo esperienziale e scientifico, basato sull’osservazione della natura in costante cambiamento della mente e del corpo; tale osservazione allenata con continuità, permette una comprensione di sé (un’esperienza) che conduce a una vita serena, attiva e pacifica.

Il corso

Il corso offre un’introduzione guidata e approfondita alla pratica della meditazione Vipassana. È residenziale, intensivo e dura dieci giorni. Si svolge in centri di meditazione permanenti oppure in strutture prese in affitto. Gli interessati sono informati del suo rigore e della sua serietà. Le istruzioni ai partecipanti sono audio e video di Goenka, proposti sia nella versione originale in inglese, sia tradotti nella lingua del paese ospitante.

Il corso inizia con l’esercizio della meditazione di consapevolezza del respiro (anapana, in lingua pali) basata l’osservazione del respiro naturale (cioè non controllato), al fine di tranquillizzare e di concentrare la mente, a sufficienza per procedere con l’esercizio di meditazione di visione profonda o penetrativa (vipassana, in lingua pali). In questa tradizione, l’esercizio di vipassana richiede l’osservazione continuativa ed equanime delle sensazioni corporee, con uno sviluppo graduale della consapevolezza delle connessioni tra corpo e mente[9]

In Italia

Il primo corso di meditazione Vipassana, come insegnata da S.N. Goenka, si svolge nel 1986. Nel 1991 un gruppo di meditatori fonda l’Associazione Vipassana Italia, che organizza corsi continuativamente, operando nel rispetto dei principi che ispirano questo insegnamento. Dal 2008 i corsi sono presso il Centro Vipassana Dhamma Atala.

Goenka invita i partecipanti ai corsi a considerare gli aspetti teorici, ma ogni studente è libero di accettarli o di rifiutare qualsiasi parte di essi. Egli infatti sottolinea che l’aspetto più importante della tecnica è la sua pratica, il suo esercizio.

I centri, le associazioni e il finanziamento per i corsi

Le associazioni Vipassana in tutto il mondo sono sorte per organizzare corsi di dieci giorni. Operano in autonomia, autofinanziandosi con libere offerte. Secondo la tradizione, infatti, l’insegnamento va dato gratuitamente e i corsi vanno organizzati esclusivamente con donazioni ispirate da gratitudine e generosità. Questo per far sì che gli aspetti economici non interferiscano nell’insegnamento. Chi, quindi, ha tratto giovamento da un corso e desidera che anche altri ne beneficino, può offrire una donazione, che permetterà l’organizzazione di altri corsi. Gli insegnanti da lui designati, gli assistenti autorizzati a tenere corsi in sua vece, e i volontari che collaborano per gli aspetti pratici, non ricevono compensi.

In tal modo, Goenka ha cercato di garantire che questa rete di centri non diventi una specie di religione o setta. Ha raccomandato che l’espansione dei centri deve essere a beneficio degli altri, (non espansione per espansione, dovuta a qualche credenza); e che l’intenzione basilare deve rimanere la diffusione per il beneficio di sempre più persone, e non certo per la crescita dell’organizzazione in sé.

Vipassana nelle carceri

Goenka ha portato i corsi di Vipassana nelle carceri, prima in India e poi in altri paesi.

  • Doing Time, Doing Vipassana. 1997: documentario sull’introduzione dei corsi di Vipassana di dieci giorni nel carcere di Tihar in India, nel 1993. Kiran Bedi, Ispettore generale delle prigioni di Nuova Delhi, prima fa addestrare le guardie carcerarie a Vipassana e poi “consegna” a Goenka una “classe” di mille prigionieri.
  • Dhamma Brothers. 2007: documentario sul programma di Vipassana nella prigione presso la struttura di Donaldson a Bessemer, in Alabama. Incentrato su quattro detenuti condannati per omicidio, comprende interviste a guardie, funzionari carcerari. www.pariyatti.org

FONTE