Macchine sempre più sofisticate, pensate per offrire piacere e, in futuro, addirittura amore. Tra umanoidi e sex doll sta nascendo un’inaspettata identità sessuale, che gli esperti chiamano “digisexual”. E solleva profonde questioni etiche e filosofiche

«Fate l’amore, non la guerra». In un futuro distopico non troppo lontano potrebbe essere lo slogan pubblicitario di una casa produttrice di sex robot. A differenza degli umanoidi killer, progettati per seminare morte tra i soldati nemici, i “sexbot” sono macchine pensate per sostituire gli esseri umani sotto le lenzuola, offrire piacere sessuale e addirittura amore. Già disponibili e configurabili in base ai propri gusti, basta fare un giro sul Web, pronti a soddisfare desideri sessuali e anche qualcosa di più.
“Frigid Farrah” è programmata per dire “no”, resistere alle avance sessuali del partner o addirittura mettere in pratica violenze sessuali. Il motto commerciale di un altro robot intelligente, Young Yoko, recita «così giovane, appena 18 anni, che aspetta solo te per imparare». Poi c’è “Samantha”, creata da Sergi Santos, ingegnere elettronico e responsabile della compagnia robotica Synthea Amatus, talmente verosimile che nel 2017 all’Ars Electronica Festival a Linz, in Austria, fu letteralmente presa d’assalto, “violentata” da un gruppo di uomini eccitati. Una scena raccapricciante. E così via, i robot del sesso hanno nomi ammiccanti: Roxxxy, Denyse, Solana, Isabel, ma anche Robert o Stew. Dispositivi dotati di intelligenza artificiale, più evoluti delle sex dolls, le bambole in silicone per uso domestico o da bordello.
GALASSIA DIGISEXUAL
Se l’identità sessuale è un concetto sempre più variegato, anche l’offerta sintetica si fa più ricca e va incontro a esigenze in continua evoluzione. Persone demisessuali, in grado cioè di sviluppare attrazione fisica solo per persone con cui hanno una forte relazione emotiva; asessuali, che non provano alcuna attrazione fisica, o ancora “skoliosexual”, individui attratti da persone che non si riconoscono nell’idea secondo cui esistono solo due generi, maschile e femminile. E così via. Per definire invece i pionieri dell’interazione sessuale uomo-macchina alcuni esperti hanno coniato il termine “digisexual”, che definisce una identità sessuale nuova da estendere anche a tutti coloro, ben più numerosi, che vivono immersi in un mondo dominato da pornografia digitale, “teledildonics”, vale a dire sex toy azionati a distanza con l’aiuto di computer, applicazioni per incontri sessuali. Nei prossimi anni i digisexual aumenteranno.
È suggestivo e inquietante lo scenario disegnato nel saggio “Benvenuti nel 2050. Cambiamenti, criticità e curiosità” (Egea) di Cristina Pozzi, bocconiana, imprenditrice sociale, esperta di tecnologie emergenti e visioni future. L’autrice, unica Young global leader 2019 per l’Italia di Forbes, prevede che fra trent’anni i robot umanoidi potranno assumere la personalità o l’aspetto estetico che preferiamo: una star del cinema, una ex fidanzata, un defunto, sempre che questo abbia lasciato il consenso, riportandolo in vita. Navigando on line potremmo ritrovarci a chiacchierare con robot in social network per persone scomparse, in un’epoca in cui sarà del tutto normale fare sesso con una macchina.

 

Già ora, del resto, la trasformazione digitale della specie è una delle grandi questioni del nostro tempo: non a caso si intitola “Society 5.0 – A human centric future” il TedX Roma che si è svolto il 4 maggio al convention center La Nuvola: 16 speaker provenienti da ogni parte del mondo tra cui Kate Devlin, per riportare l’uomo al centro di scelte e obiettivi.
«La società 5.0 non dovrà più basarsi sulla produzione fine a se stessa di beni, bensì sulla definizione delle soluzioni che realmente servano all’individuo», spiega Emilia Garito, curatrice di TedX Roma e fondatrice della società Quantum Leap Ip: «Vale per ogni settore, anche quello delle relazioni sessuali. In futuro l’offerta sarà sempre più estrema, tesa alla massimizzazione del profitto di chi mette i sexbot sul mercato. L’interazione uomo-macchina tuttavia non deve trasformarsi in compromesso, occorre mantenere spirito critico e libertà di giudizio di fronte al potere della tecnologia, che è in mano a pochi».
Al di là della curiosità, a volte morbosa, e dell’apparente frivolezza dell’argomento, l’idea che esistano robot per raggiungere l’orgasmo, o intessere una relazione più articolata, solleva una serie di questioni etiche e filosofiche: procurarsi il piacere da soli, a volte con l’aiuto di oggetti, è sesso? C’è qualcosa di immorale nel comprare e nell’avere rapporti con una macchina? Le persone che fanno sesso con un robot hanno un’inclinazione a praticare violenza sugli altri e sono incapaci di costruire relazioni affettive stabili con i propri simili? Temi di notevole portata, ai quali Maurizio Balistreri, esperto di bioetica e ricercatore di Filosofia morale dell’università di Torino, ha dedicato il libro “Sex Robot – L’amore al tempo delle macchine” (Fandango libri). «Dalla nostra analisi emerge che il sesso non è per sua natura relazionale e che, pertanto, così come possiamo avere rapporti sessuali a pagamento, con persone sconosciute, a distanza per telefono oppure facendo sesso in una realtà virtuale, allo stesso modo possiamo benissimo avere relazioni sessuali anche con i robot», dice Balistreri.
E così, dopo aver sostituito i lavoratori, i robot si apprestano a mandare in pensione anche gli amanti. Ma cosa ne sarà dell’amore se le nostre relazioni sessuali si consumeranno con una macchina? «È vero che attraverso i robot del sesso non possiamo avere gli stessi rapporti che abbiamo con altri esseri viventi: è difficile riuscire ad amare un robot e anche se fossimo in grado di farlo il robot non potrebbe ricambiare i nostri sentimenti», aggiunge il ricercatore: «Ma se l’autoerotismo è sesso, allora possiamo fare sesso anche con i robot: possono aiutarci a raggiungere il piacere e soddisfare i nostri desideri sessuali. I sex robot esistono veramente ed è arrivato il momento di prenderli sul serio».
MA SI PUÒ AMARE UN ROBOT?
Chi li ha presi sul serio, già da tempo, sono il cinema, la tv, la letteratura. Film come “Lei (Her)” di Spike Jonze, che descrive una relazione sentimentale tra il protagonista e un sistema operativo dotato di intelligenza artificiale. Oppure la serie tv “Westworld – Dove tutto è concesso” con le sue scene di sesso spinto, ideata da Jonathan Nolan e Lisa Joy e basata sul film “Il mondo dei robot” (Westworld, 1973) scritto e diretto da Michael Crichton. E più di recente la serie di animazione antologica di Netflix “Love, Death & Robots”, creata da David Fincher e Tim Miller, che mescola estetica da videogiochi, fantascienza, horror e fantasy. Tra gli episodi colpisce “La testimone”, in cui la protagonista, che lavora in un bordello in cui gli uomini si accoppiano con i robot, assiste a un omicidio e scappa dall’assassino per le strade di una città surreale.
C’è poi il nuovo romanzo retrofuturista di Ian McEwan, “Machines like me” (edito da Jonathan Cape), la storia del triangolo amoroso tra Charlie, la giovane Miranda e il robot quasi umano Adam, bello e forte, plasmato e programmato dalla coppia. Una storia ucronica ambientata a Londra nei primi anni Ottanta, in cui la Gran Bretagna ha perso la guerra delle Falkland e il matematico inglese Alan Turing invece di essere perseguitato in quanto omosessuale è uno scienziato di successo nel campo dell’intelligenza artificiale. Un romanzo in cui McEwan mette in guardia i lettori dal potere di creare robot fuori dal nostro controllo e pone questioni universali: cosa ci rende umani? Le nostre azioni o le nostre riflessioni interiori? Una macchina può comprendere il cuore di un uomo? Si può ipotizzare l’attrazione sessuale di un essere umano per un robot?
Questioni che indagano i meccanismi della mente umana, e che si pone anche Paola Marion, psicoanalista, direttore della Rivista di psicoanalisi e autrice del saggio “Il disagio del desiderio” (Donzelli editore): «Non so se verso un robot si possa parlare di desiderio in senso vero e proprio. Il desiderio sessuale, per come noi ancora lo intendiamo, comprende un altro a cui rivolgersi e a cui tendere. Mette in gioco, cioè, la relazione con l’altro», afferma Marion: «Nel caso della sessualità mette in gioco il corpo e i corpi in relazione tra di loro. Il robot rappresenta un oggetto inanimato, anche se dotato di intelligenza artificiale, che può soddisfare senza coinvolgere relazione e corporeità. Mi pare questa la vera rottura».
Come è facile immaginare, le risposte non sono univoche. Un’altra esperta, Georgia Zara, psicologa e criminologa, docente nelle università di Torino e di Cambridge, alla domanda se si possa avere una relazione che implichi affetto, sessualità e investimento emozionale con un sexbot, risponde così: «La risposta più semplice è “sì”. Esistono relazioni sintetiche nelle quali si investe una forte carica affettiva. Gli studi scientifici evidenziano che quanto più un robot ha sembianze umane, tanto maggiore è il legame che si potrebbe venire a creare: una sorta di “illusione antropomorfica”. L’interazione fisica con i sexbot permetterebbe di avere un amante sempre diverso, senza controversie, con il quale tutto è possibile», dice Zara, che poi affronta altri aspetti, toccati anche nel saggio a sua firma pubblicato nel libro di Balistreri.
La docente, infatti, è responsabile scientifica del primo progetto in Italia sull’uso dei robot per il trattamento degli autori di reati sessuali, intitolato S.o.r.a.t. (Sex offenders risk assessment and treatment), che vede coinvolti tra gli altri il Dipartimento di Psicologia dell’ateneo torinese e il Gruppo Abele, su un campione di 71 sex offender maschi, età media 47 anni, ai quali sono state mostrate quattro immagini raffiguranti due sexbot adulti, uomo e donna, e due bambini, maschio e femmina, allo scopo di studiare le loro reazioni. Argomento controverso e difficile: al momento non ci sono sufficienti evidenze scientifiche per dire che l’utilizzo dei sexbot possa inibire il passaggio all’abuso, ma lo studio non è ancora ultimato.
IL RISCHIO DELLA VIOLENZA
Una delle critiche che vengono rivolte agli androidi riguarda il rischio della normalizzazione della violenza sessuale. «Il rischio non è solo possibile, ma anche probabile. In uno studio sul diniego nei sex offender recentemente pubblicato, si evidenzia il ruolo delle fantasie sessuali nelle dinamiche sessualmente abusanti», aggiunge l’esperta. Secondo la ricerca, se la fantasia sessuale è quella del dominio e del controllo del partner, un sexbot può incoraggiarla. Se la fantasia è di tipo feticista, coinvolgendo solo alcune parti del corpo, un sexbot può alimentare il gioco erotico.
«Sebbene i sexbot possano agevolare persone in difficoltà nella sfera intima o fungere semplicemente da sex toy tecnologicamente avanzati, dal punto di vista psicosociale e clinico non è da escludere che l’utilizzo di tali dispositivi possa diventare problematico, laddove il sexbot diventa il sostituto esclusivo dell’altro», conclude Zara, che porta l’esempio di Lilly, una donna francese che dice di essere attratta solo dai robot e di volerne sposare uno, dopo le esperienze deludenti con gli uomini. Del resto qualche tempo fa, in Giappone, un uomo di 35 anni, Akihiko Kondo, ha portato all’altare un ologramma, la versione peluche della popstar Hatsune Miku. Il matrimonio non ha alcun valore legale, naturalmente, ma è la spia di un fenomeno in evoluzione.
Nascono alchimie misteriose, legami inediti, forti e inspiegabili. Viene in mente la scena finale di “Io e Annie”, il celebre film di Woody Allen, con la voce fuori campo del protagonista Alvy: «Quella vecchia barzelletta, sapete… Quella dove uno va dallo psichiatra e dice: “Dottore mio fratello è pazzo, crede di essere una gallina”, e il dottore gli dice: “Perché non lo interna?”, e quello risponde: “E poi a me le uova chi me le fa?”. Beh, credo che corrisponda molto a quello che penso io dei rapporti uomo-donna. E cioè che sono assolutamente irrazionali, e… e pazzi. E assurdi… Ma credo che continuino perché la maggior parte di noi ha bisogno di uova».
Il tempo scorre veloce, il mercato asseconda ogni richiesta con umanoidi sempre più sofisticati che rimpiazzano gli umani, si creano relazioni sempre più complesse, dai confini fluidi. E magari c’è chi, da qualche parte nel mondo, sta già costruendo il sexbot che depone le uova.

 

Arrivano i robot per il sesso, cosa accadrà? (testo del 30.06.2018)

Sono più richiesti che mai. E sono sempre più sofisticati e realistici: ecco cosa sta succedendo nell’industria dei robot sessuali, tra etica, salute e tecnologia
Scrivono articoli e poesie. Guidano automobili. Eseguono operazioni chirurgiche. E fanno anche l’amore: i robot del sesso sono già tra noi, e grazie alle innovazioni nell’ambito della meccanica, dell’elettronica e dell’intelligenza artificiale, stanno diventando sempre più realistici, sofisticati e popolari. Tanto che, secondo le stime di Ian Pearson, futurologo e politico britannico, entro il 2050 gli esseri umani avranno più rapporti sessuali con robot che tra di loro (per le donne, il turning point sarebbe addirittura ancora più vicino, previsto per il 2025). Un’altra spia che ne indica la pervasività è la notizia che, a febbraio scorso, nel Regno Unito è stato aperto “il primo bordello con bambole robotiche”, i cui clienti – dice il claim – “non si preoccupano se le bambole sono state usate prima di loro”. La Francia ha seguito a ruota: a Parigi è stato inaugurato un altro club che offre ai propri clienti i servizi di bambole in silicone, lingerie e transistor, permettendo loro di scegliere tra quattro modelli che differiscono per forma, colori e dimensioni.
L’avvento dei sex robot è accompagnato da una pletora di discussioni di diversa natura, che oltre alla tecnologia investono anche i campi dell’etica, della giurisprudenza e della salute. Ecco alcuni tra gli spunti più interessanti.
Modelli per tutte le tasche
In fatto di robot del sesso la scelta è molto ampia. E il mercato offre proposte per tutte le tasche e le esigenze. Uno dei primi dispositivi è stato quello prodotto dalla Abyss Creations, azienda fondata nel 1997 da Matt McMullen. Come vi avevamo raccontato, McMullen, da studente di arti applicate e appassionato di fumetti, si è presto trasformato in abile imprenditore del sesso: ha cominciato a costruire donne e uomini ideali quasi per gioco, esponendoli in fiere e convention e senza prevedere per loro lo svolgimento di attività di tipo sessuale; poi, vista l’enorme richiesta, si è subito attrezzato. Le sue RealDoll (entrate nell’immaginario collettivo al punto da diventare protagoniste di un film, Lars e una ragazza tutta sua) sono presto diventate oggetto del desiderio di molti, che con una spesa tutto sommato modica (all’incirca 5mila dollari) si sono portati a casa un androide iperrealistico a grandezza naturale.
I primi esemplari, però, erano poco più che semplici manichini: la vera svolta è arrivata a dicembre scorso, quando McMullen, in collaborazione con Realbotix, ha lanciato sul mercato il suo primo modello di sex robot dotato di intelligenza artificiale, di capacità di movimento e – udite udite – di una personalità. Harmony, questo il suo nome, ha una testa robotizzata che muove le labbra e riproduce diverse espressioni facciali; la sua pelle è riscaldata, in modo da imitare il più possibile la cute umana, ed è disseminata di sensori, che inviano segnali al cervello computerizzato e le permettono di sapere dove viene toccata e reagire di conseguenza fino a raggiungere l’orgasmo. Intelligenza artificiale, dicevamo: il software di Harmony permette di plasmarne la personalità e le caratteristiche, scegliendo tra intelligente, romantica, lunatica, timida, intraprendente. E le conferisce anche una (limitata, per ora) libertà di azione, nel senso che la bambola può offendersi se viene trascurata o prendere l’iniziativa se il suo proprietario non lo fa abbastanza spesso. Il prezzo? Da 15 a 50mila dollari, a seconda degli optional.
Compagna di Harmony (che in realtà è venduta, tramite appositi optional, anche in versione maschile) è Samantha, arrivata sul mercato più o meno nello stesso periodo e con le medesime caratteristiche (e stesso prezzo): iperrealistica, ultra tecnologica, capace di comprendere le barzellette e conversare di filosofia, scienze e animali, e in grado di reagire a voce e tatto del suo proprietario. Tanto che (ma questo lo sostiene Sergi Santos, il suo creatore) molti uomini se ne sarebbero addirittura innamorati. E ancora: Solana, altro robot made by McMullan presentato allo scorso Ces 2018, addirittura controllabile da smartphone, tramite app.
Quali benefici (o rischi) per la salute?
Che dire, invece, della relazione tra uso (e abuso) dei sex robot e salute? Uno studio appena pubblicato su Bmj Sexual & Reproductive Health, a firma di un’équipe di scienziati dei St. George’s University Hospitals e del King’s Kollege London ha appena messo insieme i risultati di tutta la letteratura sul tema. Concludendo, racconta il Washington Post, così come avevano iniziato, ovvero senza niente in mano. “Non esistono dati primari sui sex robot. Consigliamo quindi che tali robot non siano usati nella pratica medica”, dicono gli autori. “Almeno non prima che si accumulino sufficienti dati, raccolti in modo robusto ed etico”. In particolare, i ricercatori si sono chiesti (senza però trovare risposta al momento, come abbiamo visto) se i sex robot possano avere un valore terapeutico per trattare, per esempio, pazienti con problemi della libido, disfunzione erettile, eiaculazione precoce e, in generale, disturbi della sfera sessuale legati all’ansia generata dal dover interagire con partner umani. Se da un lato sembra che effettivamente i dispositivi possano essere in qualche modo d’aiuto in questo senso, dall’altro però emerge anche il problema della perdita di intimità con i propri simili, ragion per cui “rimane non dimostrato il fatto che i bisogni dei pazienti potrebbero essere soddisfatti: l’impiego dei sex robot, al contrario, potrebbe peggiorare le cose”. Stessa vaga risposta per la questione relativa all’uso dei sex robot per il trattamento della pedofilia e di devianze sessuali illegali: “Data la debolezza delle prove finora raccolte”, dicono ancora gli autori del lavoro, “raccomandiamo grande cautela nell’uso sex robot dalle sembianze di bambini come possibile terapia anti pedofilia”.
E l’etica?
Le questioni appena sollevate dalla comunità scientifica sconfinano, come si è visto, nell’etica. Questioni di cui si continuerà a parlare ancora a lungo. A occuparsene, tra gli altri, sono stati gli esperti di Responsible Robotics, che hanno pubblicato un report dal titolo “Il nostro futuro sessuale con i robot” per “preparare la società alle potenziali conseguenze dell’uso diffuso dei sex robot”. In particolare, il documento cerca di rispondere a sette domande di natura etica e giuridica, indicando delle possibili linee guida da adottare e seguire nel futuro. Ce ne eravamo occupati anche su Wired, raccontandovi il punto di vista di Gianmarco Veruggio, ingegnere robotico sperimentale, direttore di ricerca al Cnr di Genova e ideatore della “roboetica”, la disciplina che studia gli aspetti etici, legali e sociali della robotica. In merito a questioni legate a violenza e pedofilia, Veruggio spiegava che “difficilmente ci troveremo mai davanti a scenari alla Blade Runner, una specie di schiavitù sessuale in cui i robot saranno le vittime: con la tecnologia attuale sarebbe impossibile. Il problema non è se il robot prova sofferenza, ma quello che proviamo noi. Se ci abituiamo, per esempio, a picchiare un androide, lui non sente dolore, ma è lecito immaginare che prima o poi noi saremo soggetti a una desensibilizzazione anche in altri ambiti. E questo non è mai un bene”. Per non parlare, poi, di tutte le questioni legate alla sicurezza e alla privacy: “I sex robot”, concludeva Varuggio, “avranno bisogno di essere regolarmente collegati alla rete per aggiornamenti, cosa che li espone a virus, hackeraggio, furto di dati sensibili. Per poter interagire, queste bambole sono sicuramente dotate di microfoni e telecamere: come, e dove, vengono archiviati i file audio e video? Chi ne ha accesso, chi li possiede legalmente? Che uso verrà fatto della mappatura delle preferenze degli utenti?”. Domande sacrosante, cui è indispensabile trovare una risposta. Prima che sia troppo tardi.
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