Nel capitalismo di libero consumo e di libero costume post-sessantottino, il suddito diventa consumatore. La sua libertà si estende senza limiti fin dove si estende la sua capacità di acquisto. Alla morte di Dio segue, dunque, l’avvento non già dell’Oltreuomo profetizzato da Friedrich Nietzsche, bensì del consumatore senza identità e senza spessore, portatore di illimitata volontà di potenza consumistica.
Questi, a differenza dell’uomo maturo in grado di dire di no, deve essere permanentemente nella condizione del ragazzo immaturo, in balia di desideri ai quali può soltanto cedere e ai quali, come Pinocchio nel Paese dei Balocchi, non è in grado di porre fine. Il sistema globocratico dei consumi è, per sua natura, giovanilistico non solo perché nega la possibilità delle forme mature dell’eticità e vive di quella precarietà che caratterizza fisiologicamente la fase giovanile, prolungata oggi in forma indefinita. Accanto a questi motivi, vi è anche il collegamento tra consumismo e giovinezza, ossia la fisiologica propensione degli individui di età giovane all’acquisto incontrollato di merci, alla flessibilità degli stili di vita, al godimento disinibito, al ribellismo verso le norme stabili.
A differenza dell’uomo maturo borghese, progettuale e stabilizzato nelle forme di esistenza alle quali ha scelto di consegnarsi, l’eterno giovane post-borghese e ultra-capitalistico vive l’eterno presente instabile e non stabilizzabile dell’adolescenza perpetua estesa a ogni età dell’esistenza, centrata sul godimento aprospettico, aprogettuale e senza differimenti del life is now. La vita cessa, una volta di più, di essere concepita e vissuta come un progetto fondato sulla stabilizzazione delle sue forme: prende a essere intesa come successione rettilinea e puntiforme di istanti sconnessi ed episodici, autonomi e tutti volti in senso esclusivo alla massimizzazione aprospettica del momento.
Il giovane della generazione Erasmus si riconferma, così, il soggetto ideale per l’adesione al modello consumistico americano-centrico, per il nichilismo anarco-consumistico delle moltitudini eternamente giovani, instabili, anglofone e immature. Ed è per questa ragione che la tendenza del capitalismo flessibile coincide con l’infantilizzazione del mondo della vita, ossia con il tentativo di rendere la società permanente giovane, cioè dedita al consumo senza autorità e al ribellismo verso le forme mature dell’eticità borghese (negate realmente dalla logica del capitale e avversate ideologicamente dai giovani).
Per questa cagione, il turbocapitalismo flessibile e precario è, per sua stessa natura, giovanilistico. Esalta il giovane, perché esso – senza diritti e senza maturità, senza stabilità e biologicamente precario e in fieri – è il suo soggetto antropologico privilegiato di riferimento; e questo non solo per via della scarsa compatibilità delle fasce non giovani con la nuova logica flessibile (da cui il sempre ribadito invito che la tirannia della pubblicità rivolge anche ai non giovani a vivere come se lo fossero), ma anche in ragione del fatto che il nuovo assetto della produzione e del consumo coarta l’intero “parco umano” a vivere alla stregua dei giovani, ossia in forme provvisorie e non stabilizzate, precarie e mai mature, transeunti e perennemente in attesa di un assestamento sempre differito.
Il capitalismo flessibile ci vuole tutti eternamente giovani, perché, a prescindere dall’età, permanentemente immaturi e non stabilizzati, disposti ad accettare di buon grado le forme coattive della precarietà e del mondo della vita reso instabile.
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