Sempre più spesso ci scrivono persone per chiederci com’è vivere in barca, come si fa a mollare tutto e scegliere di passare la propria esistenza su una barca. Abbiamo quindi dedicato uno spazio a questo argomento sul sito dell’Associazione, e poi di fare qui la stessa cosa.
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E’ necessaria una piccola premessa.
La richiesta che ci viene rivolta più di frequente è di avere “i consigli giusti per lasciare tutto e realizzare un sogno”: in questo senso non siamo in grado di aiutare nessuno. Non c’è nessuno che possa dare un giusto consiglio per cambiare il proprio stile di vita. La spinta deve venire da dentro, e deve nascere da esperienze e convinzioni che sono personali, e nel caso della scelta di vivere su una barca a vela, dal fatto di aver già vissuto il mare, nel senso pieno e più variegato possibile della parola.
Vivere su una barca a vela può sembrare una scelta molto romantica; moltissimi pensando a noi ci immaginano sempre stesi al sole, in panciolle, lontani da stress e difficoltà, ma non è così; sicuramente ci sono momenti di relax e in cui ci si può godere il bel tempo in santa pace, ma non più di quanto capiti vivendo “normalmente”.
Non basta adorare il mare: il mare è un organismo vivo e potente, che va rispettato e temuto e non sempre è facile da vivere quando il tempo è cattivo e non fa caldo.
La prima cosa che chiediamo a chi ci scrive è se hanno già avuto esperienze di vita in barca, anche solo per una settimana, perché vivere in barca è bellissimo, ma è anche molto molto diverso che vivere in una casa, e prima di fare un passo così radicale è bene sapere più o meno a cosa si va incontro; noi possiamo raccontare di tutto, ma l’esperienza personale è sicuramente l’unica cosa che può dare realmente la misura e la consapevolezza del tipo di vita che si fa su una barca.
La nostra scelta è nata da una grande passione per il mare e per la vita semplice ed essenziale, tutto parte da qui, ma comunque prima di fare questo passo entrambi abbiamo avuto diverse esperienze di vita in barca, fatte di vacanze più o meno lunghe , di regate e di vita di mare molto intensa, finché ad un certo punto ci pesava “tornare a terra”… dunque questo passo ci è sembrato molto naturale.
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L’impressione, leggendo le lettere di chi ci scrive, è che il desiderio principale sia quello di allontanarsi da uno stile di vita che non piace, la voglia di “scappare”, ma non bisogna pensare al vivere su una barca come ad una fuga: è vero che la sensazione di poter partire in ogni istante dà quel senso di “libertà” che lo rende così affascinante, ma per vivere in questo modo bisogna sentire che è il “proprio modo”, altrimenti non si resiste e alla lunga si rischia di vivere tutto come un problema, un sacrificio, una rinuncia.
Le difficoltà ci sono, ma tutto viene ripagato dal “ritorno” che il mare col tempo ti dà e dalla consapevolezza che questo modo di vivere è frutto di una scelta sentita.
Facciamo degli esempi pratici partendo dalle domande che ci vengono fatte più spesso.
Lo spazio. Ci chiedono come facciamo con gli abiti, le scarpe, e tutti gli oggetti che chiunque possiede. Si sa che su una barca normale lo spazio è ridotto.
Tutto quello che possediamo è la nostra barca e quello che contiene; non abbiamo nessuna casa o box d’appoggio, solo Marco ha qualche attrezzo da lavoro un po’ ingombrante in un garage che un’amica, all’occorrenza, gli permette di usare come laboratorio.
Possedere poco è un imperativo categorico, a meno che non si abbia una barca grande… ma il poco e il grande sono relativi… noi viviamo su una barca di 11,50 mt, che contiene tutto ciò di cui abbiamo bisogno: abiti, pentole, cibo, libri e altro.
La rinuncia a tantissime cose che avevamo in casa l’abbiamo vissuta come una liberazione e non come un sacrificio, e a questo proposito una delle prime domande che ci si deve porre alle soglie di una scelta del genere è: “Sono disposto a ridurre il mio guardaroba da un armadio a quattro stagioni al contenuto di una valigia?”
Inoltre avere altre cose in un box o in una casa a terra non serve, perché non avendole a portata di mano si finisce comunque per non usarle. Alla fine è automatico fare una selezione tra ciò che è veramente utile e necessario e ciò che è superfluo, e non avete idea di quanto sia il superfluo!!
Un’altra cosa fondamentale è che quando si imbarca un nuovo oggetto, il vecchio viene sbarcato, così si evita l’accumulo e soprattutto si tende ad usare le cose fino in fondo.
Quando si è in due il massimo è avere anche gusti e taglie simili, ci si ritrova così il doppio delle cose a disposizione, ma questa è fortuna!
Il movimento. Una delle cose che spaventa di più è il movimento continuo della barca; questo è un falso problema perché con il tempo ci si abitua, anzi è una delle cose di cui sentiamo maggiormente la mancanza quando siamo costretti a passare periodi più o meno lunghi a terra… avete notato? diciamo “costretti a terra”, perché ci sentiamo bene qui, a bordo della nostra barca.
Ci si abitua talmente che a volte per rendersi conto che ci si muove bisogna guardare fuori e notare il movimento degli alberi delle barche vicine.
E’ ovvio che questo avviene in condizioni di relativa calma, invece quando il Libeccio soffia a 30 nodi, anche al corpo morto in porto si balla, e quando dura due o tre giorni può diventare snervante, sia per il movimento sia per il rumore che sottocoperta si amplifica e quando piove a dirotto non concilia di certo il sonno, ma si fa l’abitudine anche a quello e poi quando ritorna il sole ed il vento si calma, l’uscire in pozzetto ed assaporare quell’aria diventa impagabile.
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Il freddo e l’umidità. Anche questi sono falsi problemi, nel senso che se ci si organizza non si soffre né l’uno né l’altra. Chi decide di vivere in barca non può pensare di cavarsela con una stufina, perché non riscalda uniformemente e perché funziona necessariamente con la corrente a 220V, e spesso le colonnine delle banchine (per chi è a banchina, inutile parlare di chi non è a banchina, ma al corpo morto come noi, e ha al massimo un generatore a bordo) non la reggono, perché anche la stufa elettrica più piccola ha un assorbimento troppo alto. La prima cosa da prevedere a bordo, dunque, è un impianto di riscaldamento ad hoc, che risolve in parte anche i problemi di condensa, che nei mesi più freddi è inevitabile si formi nei punti in cui il calore interno si “scontra” con le basse temperature esterne. Noi a bordo abbiamo il Webasto, che funziona a 12V ed è alimentato a gasolio, con dei consumi ridotti riscalda la barca perfettamente e previene la formazione di umidità.
I consumi. Dando per scontato che le barche sono al sicuro quando sono in porto, ma non sono fatte per questo, la questione dei consumi di bordo diventa molto importante, o meglio, molto diversa che in casa. Quando si è ormeggiati a banchina con disponibilità di corrente e acqua, una doccia in più o lasciare accesa una luce in cabina, non costituisce un problema, ma in barca bisogna imparare ad usare queste “risorse” con consapevolezza, in modo da poter vivere bene anche quando si naviga o ci si trova all’ancora in una rada. Ed ecco dunque un’altra domanda da porsi: “Sono disposto a liberarmi dall’ossessione della doccia tutti i giorni, capendo che anche senza si può essere ugualmente puliti, e a fare attenzione sempre all’uso dell’acqua e dell’energia elettrica?”
Il bucato. A meno che non si viva su una barca molto grande, dotata di lavatrice, e di conseguenza di un grosso generatore, o che abbia la possibilità di stare a banchina, il bucato va fatto a terra. Le ormai onnipresenti lavanderie a gettoni in genere hanno anche delle macchine asciugatrici, ma qualche volta il bucato si può stendere a bordo con una cima messa a mo’ di stendino dal paterazzo allo strallo di prua o alle sartie, ma attenti al vento! Rischiate di perdere tutto in mare! Di stirare, ovviamente, non se ne parla nemmeno, sempre per la questione dei consumi e dello spazio. Le parole d’ordine sono praticità e organizzazione!
I costi. La manutenzione della barca nel Mediterraneo, soprattutto in Italia, ha dei costi molto alti. Partendo dal presupposto che parliamo da persone con un reddito medio, tutto quello che guadagniamo viene utilizzato per mantenere la barca e per il nostro sostentamento, senza sprechi o acquisti superflui, di cui tuttavia non sentiamo assolutamente la mancanza.
Un grosso risparmio si può avere se si sa dove mettere le mani in caso di guasti agli impianti o alle attrezzature. Gli interventi tecnici specializzati sono molto onerosi e spesso vengono eseguiti con tempi troppo lunghi per chi sulla barca ci vive, per esempio il dover stare qualche settimana a bordo con la barca sull’invaso è una gran rottura di scatole, se i lavori di carena si è in grado di eseguirli da soli si fa prima e si risparmiano soldi e seccature.
Per acquisire competenze del genere ci vuole predisposizione ai lavori manuali e tanta esperienza, e anche questa è una cosa da non sottovalutare.
Detto tutto questo, vogliamo sottolineare che non è assolutamente nostra intenzione scoraggiare chi sta pensando di andare a vivere su una barca: è un’esperienza bellissima ed è una scelta di vita appagante, pur con tutte le sue difficoltà, ma è appunto una scelta di vita, pertanto va ponderata.
Per concludere, l’unico consiglio che possiamo dare è di fare prima un po’ di esperienze, non è una scelta che si possa improvvisare, noi per arrivarci ci abbiamo messo anni, molti dei quali senza avere nemmeno la consapevolezza di voler arrivare a questo passo, ed è stato un processo naturale e lento che è cresciuto dentro di noi e che alla fine ci a portato a quella che ci sembrava l’unica strada possibile per sentirci realizzati.
Quindi interrogatevi a fondo e pensate soprattutto che il desiderio di cambiare vita e di abbandonare gli schemi più comuni non deve essere la spinta a vivere in barca, ma sarà la conseguenza di questa scelta.
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